Sentenza n. 960 del 1988

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SENTENZA N.960

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 31 luglio 1956, n. 1002 (<Nuove norme sulla panificazione>), promosso con ordinanza emessa il 24 febbraio 1987 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sezione di Catania - sui ricorsi riuniti proposti da Castrogiovanni Domenica ed altri contro la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura ed altro, iscritta al n. 639 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47/1a s.s. dell'anno 1987;

Visti gli atti di costituzione della Federazione Italiana Panificatori e Pasticceri di Castrogiovanni Domenica ed altri e della Cooperativa Agricola <Valle del Dittaino>, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

uditi gli avvocati Maurizio Salari e Walter Prosperetti per la Federazione Italiana Panificatori e Pasticceri e per Castrogiovanni Domenica ed altri e Michele Ali e Emilio Romagnoli per la Cooperativa Agricola <Valle del Dittaino> e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1.-Il Tribunale Amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione di Catania - solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 31 luglio 1956, n. 1002 (<Nuove norme sulla panificazione>), nella parte in cui prevede che l'autorizzazione all'esercizio di tale attività venga data dalla Camera di commercio, industria ed agricoltura in considerazione della densità dei panifici esistenti, del volume della produzione nella località dove é stata chiesta l'autorizzazione e del fabbisogno della popolazione locale.

La norma contrasterebbe: a) con l'art. 3 della Costituzione, perché risultano assimilate e sottoposte alla medesima disciplina le distinte ipotesi della destinazione della produzione di pane soltanto alla località della sede del panificio e della destinazione anche (o soltanto) fuori di detta località; b) con l'art. 41 della Costituzione, perché vengono frapposti limiti eccessivi ed ingiustificati alla libertà di impresa, in tempi in cui si riconosce essenziale la libera concorrenza nell'ambito nazionale e comunitario europeo; c) con l'art. 97 della Costituzione, perché la competenza ad autorizzare la produzione per ambiti diversi da quello locale ed anche per l'esportazione viene incongruamente attribuita ad organi a dimensione provinciale, anziché rispettivamente regionale e statale.

2.-Le argomentazioni con cui il giudice a quo giustifica il richiamo ai tre parametri costituzionali invocati rendono palese l'incertezza interpretativa che domina l'intera ordinanza di rimessione.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione di Catania - avvia la propria analisi affermando che l'autorizzazione all'esercizio della panificazione viene rilasciata previo accertamento della opportunità del nuovo panificio in relazione a tre elementi: densità dei panifici esistenti, volume della produzione nella località ove e stata richiesta l'autorizzazione e fabbisogno della popolazione locale. Il dato letterale non consentirebbe altre interpretazioni e la disciplina troverebbe giustificazione per un verso nell'intento di salvaguardare la distribuzione dei singoli esercizi sul territorio, per l'altro nella volontà di proteggere i produttori già esistenti dalla irruzione sul mercato di nuovi e grandi produttori.

Ad avviso del Tribunale amministrativo regionale questa interpretazione, pur essendo fondata su ineccepibili riferimenti testuali, e tuttavia criticabile perché conduce ad una applicazione della legge caratterizzata da un <esasperato localismo> e tende a conservare un equilibrio statico, contrastando quindi con il dinamismo economico della società odierna, fondato sulla libera competizione delle imprese.

Rileva inoltre il giudice a quo che nella giurisprudenza come nella prassi amministrativa ricorre un'altra interpretazione, fondata sul richiamo anche all'art. 11 della legge impugnata. Tale norma prevede il trasporto del pane da un comune all'altro, a condizione che impianti e attrezzature siano conformi alla legge.

La norma consentirebbe di ritenere ammissibile il rilascio della autorizzazione per la produzione di pane destinato a località diverse da quella della sede del panificio e quindi anche per la distribuzione nell'ambito nazionale o addirittura per l'esportazione.

Neanche tale interpretazione sarebbe peraltro condivisibile: a giudizio del Tribunale amministrativo regionale vi osterebbe anzitutto il contrasto tra il dato testuale dell'art. 2 e quello dell'art. 11, contrasto non superabile con <acrobazie ermeneutiche>.

In secondo luogo, essa incorrerebbe in ostacoli logici od organizzativi relativamente all'organo competente a fornire il parere e a rilasciare l'autorizzazione ex art. 2, giacché alla Commissione prevista nel medesimo articolo e alla stessa Camera di commercio, i cui ambiti di competenza sono limitati alla provincia, in questo caso spetterebbero invece decisioni destinate ad avere effetto in ambito ultralocale.

3. -Le contrapposte valutazioni interpretative, riportate nei loro passaggi essenziali, non conducono nell'ordinanza di rimessione ad una scelta precisa nella ricostruzione del dato normativo. Anzi, proprio con riferimento alle censure cui può dar luogo sia l'uno che l'altro orientamento ermeneutico, il giudice a quo conclude che non resterebbe altra soluzione se non quella di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge n. 1002 del 1956.

La duplicità di valutazioni trova puntuale corrispondenza nei profili di costituzionalità sottoposti al giudizio della Corte.

Il richiamo all'art. 3 della Costituzione, fondato sul rilievo che risulterebbero nella norma irrazionalmente assimilate ipotesi distinte, e quello all'art. 41, invocato perché verrebbero frapposti eccessivi ed ingiustificati limiti alla libertà di impresa, hanno come presupposto l'interpretazione secondo la quale la legge consentirebbe di considerare soltanto le esigenze locali.

A sua volta, il richiamo all'art. 97, che sarebbe violato perché organi a competenza limitata all'ambito provinciale possono concedere autorizzazioni operanti con riferimento a più vasti ambiti territoriali, trova invece fondamento nell'interpretazione per cui l'autorizzazione può essere concessa anche in considerazione dell'avvio del prodotto verso l'intero territorio nazionale o addirittura all'esportazione.

Orbene, sin dalla sentenza 19 ottobre 1982 n. 169, la Corte ha indicato come indefettibile presupposto di ammissibilità delle questioni di legittimità sollevate l'esatta individuazione del thema decidendi, giungendo quindi alla conclusione di non potersi pronunciare nel merito in presenza di una lettura interpretativa antinomica delle disposizioni impugnate, tale da rendere ancipite l'ordinanza e quindi irrisolvibile la duplicità del giudizio.

Da allora la Corte ha costantemente prescritto che il giudice a quo provveda non soltanto all'indicazione normativa necessaria ad ancorare il giudizio ad un oggetto determinato (sent. 12 dicembre 1985, n. 350) ma anche all'esatta ricostruzione del contenuto normativo della disposizione impugnata, dovendosi pervenire, in caso di incertezze o ambivalenze interpretative, alla dichiarazione di inammissibilità della questione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 31 luglio 1956, n. 1002 (<Nuove norme sulla panificazione>), sollevata con l'ordinanza 24 febbraio 1987 (r.o. n. 639 del 1987), del Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, Sezione di Catania, in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/09/88.

 

Francesco SAJA - Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 06/10/88.